venerdì 24 aprile 2009

La lettura rende liberi (e consapevoli)

Il 25 aprile non è solo la commemorazione della Liberazione dalla dittatura nazifascista. Dovrebbe essere lo spunto per riflettere, comprendere, ricordare. Proprio la memoria storica di un così importante momento per il Paese è messa sempre più spesso a repentaglio da interpretazioni faziose, fatte da non specialisti che di metodologia della ricerca storica sanno davvero poco. Perché se nessuno probabilmente si spaccerebbe mai per medico, fisico, matematico o quant’altro, in molti sono i sedicenti storici o “storici dilettanti” che si avvalgono dei mezzi di comunicazione di massa per inculcare il loro punto di vista. Magari scritte in maniera accattivante, cosicché il lettore “non addetto ai lavori” non riesca a distinguere il volume storiografico dal racconto romanzato. Perché la Storia non si basa su ciò che noi pensiamo possa essere successo. La Storia lavora sulle fonti. Come un investigatore lo storico spulcia con occhio critico archivi, atti giudiziari, fonti materiali e non: tutto ciò che dice, insomma, deve essere supportato da un incrocio di dati attendibili.

Fortunatamente, per quanto riguarda la storiografia della Resistenza, abbiamo numerosi esempi, soprattutto recenti, di storici di grande serietà e di brillante acume, che si sono interrogati sulle problematiche più spinose del 1943-45; poiché siamo ormai in una società in cui la cultura e l’informazione vanno cercati personalmente, mi permetto di consigliarvi le opere di alcuni tra i maggiori studiosi della Resistenza in particolare e della storia italiana contemporanea in generale: come Santo Peli, autore del recente La Resistenza in Italia, l’illustre Claudio Pavone col suo Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, e infine Alessandro Portelli ne L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria. Sono solo alcuni esempi di grandi storici, che hanno meditato e vagliato criticamente le fonti a loro disposizione per cercare di capire cosa è stata l’Italia in quel terribile frangente. Questo invito alla lettura di opere fatte da studiosi di provata serietà e competenza è un grido disperato di fronte alla demagogia con cui giornalisti e politici tentano da anni di plasmare l’opinione pubblica, grazie ad una retorica fasulla e approfittando della buona fede e della non competenza (ignoranza?) dell’italiano comune riguardo alle vicende storiche anche più recenti del nostro Paese.

Per questo motivo invito tutti a fare, oltre ad una costruttiva lettura, una riflessione sull’uso pubblico che viene fatto della Storia e su quanto quest’uso, se condotto in maniera indiscriminata, possa essere paurosamente dannoso. Proprio alla vigilia del 25 aprile ho visto proliferare le solite frasi fatte che inneggiavano a non festeggiare la Liberazione: frasi intrise di retorica con la validità scientifica delle chiacchiere da bar, e c’è da chiedersi se quanti manifestano simpatia per questa presa di posizione, sappiano effettivamente di cosa stanno parlando, si siano documentati. O si fanno forse convincere da quattro frasi fatte? Meditate gente, meditate. E leggete, perché la lettura vi renderà liberi di crearvi una opinione vostra e non mediata da demagoghi fautori di falsi miti.

Isolte

Festa Nazionale?



Buongiorno, è 25 aprile.

Inaugurare un blog il giorno della Liberazione vuol dire qualcosa. Significa avere l’intenzione di lanciare un messaggio forte, un messaggio del tipo: Noi siamo qui. Siamo ancora italiane. Ci teniamo ancora ad esserlo. Ma tutto quello che vediamo intorno ci fa soffrire enormemente. E ci fa venir voglia di scappare. E ci fa venir voglia di urlare. Urleremo con un blog, fin quando ci sarà permesso e oltre.

Parliamo di oggi. Una festa nazionale, di solito è nazionalmente riconosciuta come tale. Pensate alle parate transalpine del 14 luglio, pensate agli inni oltreoceano suonati il 4 luglio. Questi altri occidentali utilizzano feste nazionali e passato comune in modo forte, continuo, unificante. Dunque, non solo le dittature totalitarie, ma anche le moderne democrazie utilizzano i miti fondanti. I popoli hanno bisogno di un sentire comune, di un passato partecipato e ricordato, da dove poter costruire insieme. E non c’entra niente il nazionalismo, quello che troppo spesso ha generato teorie della superiorità o sete di potere e di conquiste. Festeggiare una festa nazionale vuol dire non dimenticare la storia, vuol dire non cadere in pasto ad un cattivo revisionismo, vuol dire sapere chi si è stati.

Forse in Italia non sappiamo chi siamo. Forse lo abbiamo dimenticato. Forse, qualcuno non lo ha mai saputo. Il nostro è un Paese che ha al governo un’infinità di personaggi di bassa levatura culturale, ne siamo a conoscenza tutti. Ma questo non significa nulla, se escludiamo il semplice fatto che per dirigere qualcosa e farla funzionare di solito è richiesta una certa preparazione. L’Italia è però un Paese – a modo suo – all’avanguardia, che riesce a sorvolare su queste frivolezze.

A questi politicanti dalla scarsa cultura vorrei dire: d’accordo, siete ignoranti. Ma almeno studiatevi il Risorgimento e la Resistenza.

A mio parere sono infatti questi i due momenti cruciali, quelli che potremmo tranquillamente considerare i nostri miti fondanti. Certo, si potrebbe discutere – con chi li ha studiati – su alcuni punti non chiari. Perché non si può essere in toto contrari al revisionismo storico. Potremmo parlare dei Briganti, che ormai non sono più i demoni visti dai piemontesi; potremmo perdere ore a scontrarci sull’argomento Foibe. Ma no, rinnegare Risorgimento e Resistenza, non riconoscerli come punti cardine della nostra giovane e impacciata Nazione no. Non è possibile.

L’accanimento dei nostri governanti contro il Risorgimento (vedi Lega Nord) e contro la Resistenza (vedi dichiarazioni dei vari leader, vedi loro ostinazione nel non voler partecipare alle celebrazioni) mi fa riflettere: che sia questo uno degli altri motivi, tra i tanti, per i quali non funzioniamo come Nazione? Sarà l’assenza di qualcosa di “comune”? Saranno questi continui problemi con il passato - non passato? Credo proprio di si.

Che sia un buon giorno, il 25 aprile.

Thérèse