giovedì 26 novembre 2009

Misoginia

(...)

1Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, 2per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità. 3Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, 4il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. 5Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, 6che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l'ha data nei tempi stabiliti, 7e di essa io sono stato fatto banditore e apostolo - dico la verità, non mentisco -, maestro dei pagani nella fede e nella verità.

8Voglio dunque che gli uomini preghino, dovunque si trovino, alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese.

9Alla stessa maniera facciano le donne, con abiti decenti, adornandosi di pudore e riservatezza, non di trecce e ornamenti d'oro, di perle o di vesti sontuose, 10ma di opere buone, come conviene a donne che fanno professione di pietà.

11La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. 12Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all'uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. 13Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; 14e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. 15Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia.

(...)


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Dal Nuovo Testamento, Lettere di San Paolo, Prima Lettera a Timoteo.


martedì 14 luglio 2009

lunedì 25 maggio 2009

Tutti i Divi

Se vivi in un Paese come questo, conosci un po’ di storia, ti informi un minimo e poi trovi qualche minuto di lucidità tra l’afa, ti accade sovente di fare semplici associazioni di idee. Almeno questo è quello che accade a me.

Troppo spesso però, le mie riflessioni vanno a confluire nella solita conclusione: qui è sempre stato così. Alcuni modi di fare e di pensare sono congeniti; lo sono alcune conclusioni malsane e affrettate, alcune dettate dall’ignoranza, altre dal menefreghismo o dalla rassegnazione, altre da ancestrali usi maschilisti o cattolici o falsamente moralisti.

Oggi ho guardato Il divo, dopo aver letto articoli, dichiarazioni e commenti riguardanti il caso Mills e il caso Noemi Letizia. Ed ho pensato a Moro, Andreotti, Craxi, Tangentopoli e, inevitabilmente, a Silvio Berlusconi.
Tutto è collegato, tutto viene giustificato da una certa opinione pubblica e comune grazie a frasi assolutorie (spesso auto-assolutorie) che non sono altro che calchi di luoghi comuni e di insopportabili clichè.


Ma tanto lo fanno tutti.

Poverino, ha pagato per tutti.

Nei suoi panni lo farebbero tutti.

Sono tutti invidiosi.

E che sarà mai, tutti vorrebbero giocare con una minorenne.

Tutti, qui, devono scendere a patti con la Mafia.


La mia associazione di idee, eventi e luoghi comuni rischia di perdersi in questo pensare. E allora inizio una regressione, ritorno quasi bambina, passo alle domande elementari. Chi sono questi “tutti”? “Tutti” è quindi un qualcosa di negativo?
Cerco, infantilmente, di trovare altre definizioni e spiegazioni a quello che già so. Mi autoassolvo dalla consapevolezza, anche io, per non scappare.

Thérèse

martedì 12 maggio 2009

La democrazia ai limiti o ai limiti della democrazia


Non so se una vera democrazia ci sia mai stata. A dirla tutta non so nemmeno se essa sia possibile. Ma non sono in grado di attuare un’analisi sull’argomento né penso che sia questa la sede più adatta per farlo. Quello che so per certo è invece che in Italia ciò che somigliava alla democrazia si sta affievolendo, allontanando; siamo in preda ad una qualche degenerazione del sistema che sta sfuggendo al nostro controllo.

È da tempo che ci penso, ma in questi giorni alcuni fatti mi hanno indotto a riflettere sulla faccenda in modo più approfondito; per questo ho deciso di parlarvi della non democrazia in tre punti.

L’informazione: la Freedom House (organizzazione non governativa con sede negli Usa, che si pone come obiettivo la promozione della libertà nel mondo) nel suo rapporto annuale ha posto il nostro tra i Paesi “parzialmente liberi” per quanto riguarda la libertà di parola, unico caso dell’Europa assieme alla Turchia. Le motivazioni della retrocessione sono la concentrazione dei media in un’unica mano, le intimidazioni da parte della criminalità organizzata e dei gruppi di estrema destra subite dai giornalisti, e le nuove leggi che limitano la libertà di parola.

Il Parlamento: pare che al Senato si lavori circa 10-11 giorni al mese, con una settimana lavorativa che inizia il martedì e si chiude giovedì mattina (nel migliore dei casi). Vecchio problema della nullafacenza dei politici italiani. Ma perché si è arrivati a questi minimi storici? Semplice. Oramai le Camere hanno come obiettivi soltanto quelli di ricevere e attuare gli ordini dell’esecutivo. Stanno diventando sedi di trasformazione dei decreti in legge.

Le veline: personaggi dello spettacolo, veline, personaggi di fiducia dei grandi leader politici. Sono ormai loro i candidati ideali; persone che con la politica non c’entrano nulla, che ne capiscono poco e che hanno come unica spiccata caratteristica quella della fedeltà al loro capo/mandante, che riesce a manipolarli a suo piacimento. Belli, sorridenti e obbedienti.

Il grande spettacolo della non democrazia è appena iniziato!

Thérèse

25 aprile

Il 25 aprile ricorre il 64° anniversario della liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo. In tutto il paese si sono svolte diverse manifestazioni commemorative dell’evento che hanno ricordato quanto grande e impegnativo sia stato il sacrificio dei protagonisti che con la loro lotta posero i pilastri per la formazione di uno stato democratico e repubblicano in cui noi oggi ancora viviamo.

Nella storia d’Italia, l’insurrezione del 25 aprile fu per i resistenti carica di aspettative e di significati. Venne concepita da alcuni come lo ‘sbocco naturale della guerra partigiana contro il nemico nazi-fascista’ ma anche come un ‘momento di rottura con il passato che avrebbe portato a un radicale rinnovamento sociale e politico’. I valori dell’antifascismo e della democrazia si sono affermati con il movimento di liberazione che ha rinnovato l’Italia. Paese che 64 anni fa era occupato nelle sue terre da un nemico e da una dittatura che l’aveva condotto a una guerra disatrosa… ma che grazie all’impegno di donne e uomini è stato liberato. E tra il 21 aprile e il 2 maggio si consumò l’ultimo atto della Resistenza italiana. Le formazioni partigiane liberarono Milano, poi Torino (dopo quattro giorni di scontri) dall’occupazione dei nazisti e dai fascisti, alcuni giorni prima dell’arrivo delle truppe alleate e poi Genova e altre città dell’Italia settentrionale. L’Italia era nuovamente un paese libero che si preparava a divenire una repubblica democratica, dove la libertà in tutte le sue sfaccettature fu uno dei valori fondanti.

venerdì 24 aprile 2009

La lettura rende liberi (e consapevoli)

Il 25 aprile non è solo la commemorazione della Liberazione dalla dittatura nazifascista. Dovrebbe essere lo spunto per riflettere, comprendere, ricordare. Proprio la memoria storica di un così importante momento per il Paese è messa sempre più spesso a repentaglio da interpretazioni faziose, fatte da non specialisti che di metodologia della ricerca storica sanno davvero poco. Perché se nessuno probabilmente si spaccerebbe mai per medico, fisico, matematico o quant’altro, in molti sono i sedicenti storici o “storici dilettanti” che si avvalgono dei mezzi di comunicazione di massa per inculcare il loro punto di vista. Magari scritte in maniera accattivante, cosicché il lettore “non addetto ai lavori” non riesca a distinguere il volume storiografico dal racconto romanzato. Perché la Storia non si basa su ciò che noi pensiamo possa essere successo. La Storia lavora sulle fonti. Come un investigatore lo storico spulcia con occhio critico archivi, atti giudiziari, fonti materiali e non: tutto ciò che dice, insomma, deve essere supportato da un incrocio di dati attendibili.

Fortunatamente, per quanto riguarda la storiografia della Resistenza, abbiamo numerosi esempi, soprattutto recenti, di storici di grande serietà e di brillante acume, che si sono interrogati sulle problematiche più spinose del 1943-45; poiché siamo ormai in una società in cui la cultura e l’informazione vanno cercati personalmente, mi permetto di consigliarvi le opere di alcuni tra i maggiori studiosi della Resistenza in particolare e della storia italiana contemporanea in generale: come Santo Peli, autore del recente La Resistenza in Italia, l’illustre Claudio Pavone col suo Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, e infine Alessandro Portelli ne L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria. Sono solo alcuni esempi di grandi storici, che hanno meditato e vagliato criticamente le fonti a loro disposizione per cercare di capire cosa è stata l’Italia in quel terribile frangente. Questo invito alla lettura di opere fatte da studiosi di provata serietà e competenza è un grido disperato di fronte alla demagogia con cui giornalisti e politici tentano da anni di plasmare l’opinione pubblica, grazie ad una retorica fasulla e approfittando della buona fede e della non competenza (ignoranza?) dell’italiano comune riguardo alle vicende storiche anche più recenti del nostro Paese.

Per questo motivo invito tutti a fare, oltre ad una costruttiva lettura, una riflessione sull’uso pubblico che viene fatto della Storia e su quanto quest’uso, se condotto in maniera indiscriminata, possa essere paurosamente dannoso. Proprio alla vigilia del 25 aprile ho visto proliferare le solite frasi fatte che inneggiavano a non festeggiare la Liberazione: frasi intrise di retorica con la validità scientifica delle chiacchiere da bar, e c’è da chiedersi se quanti manifestano simpatia per questa presa di posizione, sappiano effettivamente di cosa stanno parlando, si siano documentati. O si fanno forse convincere da quattro frasi fatte? Meditate gente, meditate. E leggete, perché la lettura vi renderà liberi di crearvi una opinione vostra e non mediata da demagoghi fautori di falsi miti.

Isolte

Festa Nazionale?



Buongiorno, è 25 aprile.

Inaugurare un blog il giorno della Liberazione vuol dire qualcosa. Significa avere l’intenzione di lanciare un messaggio forte, un messaggio del tipo: Noi siamo qui. Siamo ancora italiane. Ci teniamo ancora ad esserlo. Ma tutto quello che vediamo intorno ci fa soffrire enormemente. E ci fa venir voglia di scappare. E ci fa venir voglia di urlare. Urleremo con un blog, fin quando ci sarà permesso e oltre.

Parliamo di oggi. Una festa nazionale, di solito è nazionalmente riconosciuta come tale. Pensate alle parate transalpine del 14 luglio, pensate agli inni oltreoceano suonati il 4 luglio. Questi altri occidentali utilizzano feste nazionali e passato comune in modo forte, continuo, unificante. Dunque, non solo le dittature totalitarie, ma anche le moderne democrazie utilizzano i miti fondanti. I popoli hanno bisogno di un sentire comune, di un passato partecipato e ricordato, da dove poter costruire insieme. E non c’entra niente il nazionalismo, quello che troppo spesso ha generato teorie della superiorità o sete di potere e di conquiste. Festeggiare una festa nazionale vuol dire non dimenticare la storia, vuol dire non cadere in pasto ad un cattivo revisionismo, vuol dire sapere chi si è stati.

Forse in Italia non sappiamo chi siamo. Forse lo abbiamo dimenticato. Forse, qualcuno non lo ha mai saputo. Il nostro è un Paese che ha al governo un’infinità di personaggi di bassa levatura culturale, ne siamo a conoscenza tutti. Ma questo non significa nulla, se escludiamo il semplice fatto che per dirigere qualcosa e farla funzionare di solito è richiesta una certa preparazione. L’Italia è però un Paese – a modo suo – all’avanguardia, che riesce a sorvolare su queste frivolezze.

A questi politicanti dalla scarsa cultura vorrei dire: d’accordo, siete ignoranti. Ma almeno studiatevi il Risorgimento e la Resistenza.

A mio parere sono infatti questi i due momenti cruciali, quelli che potremmo tranquillamente considerare i nostri miti fondanti. Certo, si potrebbe discutere – con chi li ha studiati – su alcuni punti non chiari. Perché non si può essere in toto contrari al revisionismo storico. Potremmo parlare dei Briganti, che ormai non sono più i demoni visti dai piemontesi; potremmo perdere ore a scontrarci sull’argomento Foibe. Ma no, rinnegare Risorgimento e Resistenza, non riconoscerli come punti cardine della nostra giovane e impacciata Nazione no. Non è possibile.

L’accanimento dei nostri governanti contro il Risorgimento (vedi Lega Nord) e contro la Resistenza (vedi dichiarazioni dei vari leader, vedi loro ostinazione nel non voler partecipare alle celebrazioni) mi fa riflettere: che sia questo uno degli altri motivi, tra i tanti, per i quali non funzioniamo come Nazione? Sarà l’assenza di qualcosa di “comune”? Saranno questi continui problemi con il passato - non passato? Credo proprio di si.

Che sia un buon giorno, il 25 aprile.

Thérèse